«Internet si è rotto». Così Evan Williams, cofondatore di Twitter, ha dichiarato di recente in un’intervista al New York Times. Un’affermazione che tuona come il parricidio della propria creatura. Al lavoro su una nuova piattaforma per blogger denominata Medium, il padre di Twitter ne riconosce tutti i gli aspetti negativi tra cui, in primis, quello di attirare estremisti e soggetti il cui unico scopo è l’insulto o l’offesa.
Pensato come strumento di liberazione, di condivisione e di scambio economici, sociali e culturali, dopo oltre trent’anni dalla sua nascita, internet sotto il profilo etico e morale ha contribuito ad alimentare, per ideologia e/o per profitto, risultati per nulla coerenti con gli entusiasmi della nascita.
Il risultato drammatico dell’uso distorto di internet è il voyeurismo mediatico inteso sia come forma “attiva” di protagonismo (l’importante è essere sempre on line), sia come strumento di “eliminazione” morale, etica e sociale dell’avversario (sia esso il politico, il dirigente della società concorrente, il vicino di banco, il rivale in amore e così via).
La formula vincente (si fa per dire) per ottenere l’uno o l’altro risultato è sempre quella dell’eccesso, in un crescendo mediatico inarrestabile: si lancia in rete una notizia o una confessione (non importa se vere o false), un’immagine, un video; si raccolgono centinaia, migliaia di commenti e di visualizzazioni e il risultato è assicurato. Il metro del consenso non è dato dalla sostanza dei contenuti ma dal numero di followers che si traducono – secondo le logiche della Rete – in visibilità e ritorno economico. La sintesi? “Non importa che se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli”.
E così sul web dilagano il fenomeno delle fake news, l’arroganza mediatica, la cultura del sospetto. In uno spazio apparentemente immateriale e asettico si sfogano pulsioni primitive, anche violente e dalle conseguenze talvolta drammaticamente irreversibili, testimoniate da casi di cronaca di vita reale.
Sebbene il mondo dei media tradizionali può patire condizionamenti dettati da interessi che gravitano pour cause attorno ad assetti proprietari e che talvolta incidono sulla divulgazione delle informazioni, sul web si materializzano altri rischi dovuti al dominio quasi monopolistico dei colossi della Rete che gestiscono una quantità sconfinata di dati (anche personali e sensibili) per finalità commerciali, con un preoccupante e vistoso deficit di qualità e affidabilità.
Governi e colossi della Rete – pur mossi da motivazioni diverse – e con la priorità di difendere a ragione il “mezzo” internet, cercano pertanto di correre ai ripari con l’intento comune di promuovere una cultura della Rete e di rilanciare la qualità dell’informazione, nella consapevolezza che la democraticità della connessione ha messo a rischio la democraticità dell’informazione.
Il percorso è complicato alla luce della degenerazione dei modi e dei costumi, sempre più lontani dall’abc dell’etica sociale, ma non impossibile. Occorre una presa di coscienza consapevole da parte di ciascuno degli addetti ai lavori del loro ruolo professionale e sociale.
Ai giornalisti, l’onere (e l’onore) di riaffermare i propri principi deontologici che consentono, se correttamente applicati, di garantire un corretto esercizio del diritto di cronaca e di critica, nel rispetto dei soggetti coinvolti.
Agli editori, ai colossi della Rete ed ai rappresentanti del mondo dell’istruzione e della ricerca scientifica lo sforzo di realizzare un progetto coordinato e sinergico finalizzato a preservare il diritto di ciascuno ad informare e ad essere informato.
Alla magistratura il compito di fissare nella giurisprudenza i limiti del giusto e corretto bilanciamento tra il diritto-dovere ad una informazione corretta ed obiettiva e il diritto all’onore, alla reputazione e alla tutela delle altre libertà fondamentali degli individui.
In altre parole la soluzione è trovare un equilibrio tra il “vecchio” sistema dei media tradizionali, dove nelle redazioni i giornalisti in modo professionale conducono inchieste, apportano contenuti e verificano i contributi esterni, e il “nuovo” sistema comunicativo figlio dell’avvento e del consolidamento di internet in cui chiunque, con un minimo di alfabetizzazione informatica, può pubblicare contributi inediti o commentarne altri senza filtri né controlli.
Dello “scontro” generazionale tra sistemi e metodo potranno solo avvantaggiarsene l’informazione e coloro che la fanno e la recepiscono.
Alessandra Fossati
Avvocato esperto in diritto dell’informazione
Munari Cavani Studio Legale